LA FIGURA DI S. PIETRO L’ATHONITA NEI TESTI LITURGICI
Abstract
Storicamente „il primo anacoreta”, il simbolo del modello eremitico
della vita monastica sul Monte Athos, è san Pietro l’Athonita, che visse intorno all’anno
800 nell’odierna regione di Kausokalybia. Negli anni 30-40 del IX secolo nasce il testo più
antico a lui dedicato. Il testo è un canone per il mattutino del 22 giugno, composto da san
Giuseppe l’Innografo; tuttavia già nel corso dell’XI secolo il culto di Pietro l’Athonita è
stato abbinato al culto di sant’Onofrio l'Eremita (12 giugno). Il canone di Giuseppe
testimonia che il culto di un eremita di nome Pietro, vissuto all’Athos a cavallo dei secoli
ottavo e nono, si è diffuso nella penisola e nelle aree limitrofe fino a raggiungere
Tessalonica. Le copie greche più antiche dell’ufficio sono della fine del X e della fine del
XII secolo; la traduzione slava è testimoniata per la prima volta, forse, nel 1459.
Lo scritto più importante dedicato al santo è la Vita di Pietro l’Athonita. Il suo
autore è un monaco athonita di nome Nicola. L’opera risale agli anni 70 del X secolo.
Dato il suo carattere narrativo, la Vita rimane solo parzialmente legata al testo
innografico di Giuseppe.
Nel testo si racconta come la Vergine in una apparizione davanti il Pietro ribadisca
i Suoi diritti sull’Athos, ricordando la Sua prima visita in quel luogo subito dopo l’Ascensione
di Gesù, quando aveva preso possesso di questo “giardino”. La profezia inclusa nella Vita di
Pietro ha influenzato la popolarità del suo culto, che è cresciuto soprattutto dalla fine del XIII
secolo con i fondamentali cambiamenti della spiritualità athonita.
Probabilmente nella seconda metà del XV secolo sull’Athos uno ieromonaco serbo
compose in slavo-ecclesiastico di redazione serba un ufficio dedicato a san Pietro per il 12
giugno. La nuova composizione segue la prassi gerosolimitana, perciò ha un piccolo e un
grande vespro, un ampio mattutino con un canone al santo, che contiene un acrostico nei
tropari (un CANTO a PIETRO ATHONITA) e il nome dell’autore nelle strofe mariane:
GENNADIE. L’opera si è conservata in un unico manoscritto del Monastero di Chilandar,
il n. 463. L’ufficiatura di Gennadio è una testimonianza del rifiorire del culto del “capo di
quel deserto” all’epoca della rinascita esicasta.
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